Moravia. I racconti 1927-1951 by Alberto Moravia

Moravia. I racconti 1927-1951 by Alberto Moravia

autore:Alberto Moravia
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bompiani
pubblicato: 2020-08-25T00:00:00+00:00


IL RITORNO DALLA VILLEGGIATURA

Tutti gli uomini, la maggior parte senza saperlo, prestano alle ore, ai giorni, alle stagioni e agli anni il colore mutevole dei loro sentimenti. Per molti la mattina è angosciosa e la notte lieta oppure il contrario. Certi mesi sono aspettati con ansietà, certi altri temuti. Le stagioni appaiono favorevoli o sfavorevoli secondo i casi. Gli anni stessi, finché durano la memoria e la speranza, si distinguono in fortunati e sfortunati, in calmi e avventurosi e così via. Questa facoltà di dare un carattere alle divisioni convenzionali del tempo, è viva soprattutto nella giovinezza, età in cui ogni momento che passa pare nuovo prima di riviverlo ed è insostituibile appena è passato; con l’età matura e soprattutto con la vecchiaia, essa si affievolisce soverchiata dall’abitudine e finalmente si spegne. Ma il nobile Tarcisio, forse perché viveva, a quaranta come a vent’anni, in ozio, e non aveva lasciato che il lavoro risolvesse il tempo, come vuole il proverbio, in denaro, conservava intatto questo potere; e per lui, come durante l’adolescenza, ogni minuto della giornata, ogni giorno del mese, ogni stagione dell’anno conservavano quella fisionomia arcigna o amabile che hanno per il giuocatore, anche quando è in perdita e la partita volge alla fine, le varie figure delle carte da gioco. Tarcisio aveva ormai, a quarantacinque anni passati, perduta definitivamente la sua partita; e chiunque al suo posto non si sarebbe aspettato più nulla dagli anni che gli restavano da vivere, numerosi forse, ma di scarso valore, in tutto simili alle piccole carte che rimangono in mano quando le grosse sono state gettate. Tuttavia egli si ostinava a sperare; e gli anni della maturità lo trovavano non meno illuso che quelli ormai lontani della prima giovinezza.

Il momento più importante della vita di Tarcisio era l’inizio dell’inverno. Al contrario di molti per i quali questa è la stagione più triste e più avara, per Tarcisio l’inverno si colora delle più vaste e insensate speranze. Come tanti, durante l’estate, egli lasciava la città per il mare o per la campagna; fin dall’infanzia il ritorno in città era sempre stato per lui ciò che per gli altri è il capodanno, il vero inizio dell’anno, il tempo dell’attesa e dei presentimenti. Chiusa la parentesi informe e svagata delle vacanze, gli piaceva pensare che tornando in città avrebbe ricominciato a vivere; ossia a cercare un motivo di cambiamento per la propria vita in quella degli altri. Era questa confusa speranza e non lo snobismo o l’abitudine, che spingeva Tarcisio a frequentare i salotti e i luoghi di ritrovo; questa speranza di imbattersi, a forza di cercare, nel nuovo e nel miracoloso di cui la noia arida del suo animo era oscuramente assetata.

Tutti gli anni, all’avvicinarsi dell’inverno, egli provava il brivido insieme lugubre ed esultante di un’iniziazione imminente. L’inverno era per lui la società, quell’accostarsi affettuoso e doloroso degli uomini gli uni agli altri, quello scambiarsi febbrile di merci intime non meno preziose e venute di lontano che gli aromi e le sete degli antichi mercanti.



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